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L'Elefante Osceno

Proprio dietro il Pantheon vi è la piccola piazza della Minerva al centro della quale si erge, maestosa, la figura di un tozzo e buffo elefantino. Il pachiderma, costruito in marmo di Carrara, porta sul possente dorso un obelisco di granito rosa che era stato rinvenuto, intorno al 1665, nel giardino del vicino convento dei domenicani. Alto quasi 5 metri e mezzo, questo obelisco, del VI sec a.c., abbelliva  il tempio dedicato alla dea Iside che, durante l’era romana, sorgeva nella zona. Fu Papa Alessandro VII, nel 1666,  che decise di farlo erigere al centro della piazza.

Si poneva però il problema di dare allo stesso una degna base ed alla fine, tra i  progetti presentati, ne fu scelto uno di Gian Lorenzo Bernini, che pensò di poggiare l’obelisco su un piccolo elefantino. Il geniale scultore aveva presentato, pare, bel 10 progetti ma il papa fu affascinato da questa idea; considerando che l’obelisco voleva essere da parte del pontefice un dono alla sapienza divina, il gigantesco mammifero, che incarna l’idea della forza, ne rappresentava il degno supporto. Tra i progetti scartati, è da ricordare quello del domenicano Domenico Paglia che prevedeva un basamento costituito da 6 piccoli colli (simbolo della famiglia cui apparteneva il Papa, i Chigi) agli angoli dei quali si trovavano 4 cani con una torcia in bocca. L’idea fu bocciata in quanto ritenuta dal pontefice come inutilmente auto celebrativa; questo però causò le forti invidie e gelosie da parte del Paglia nei confronti di Bernini. Quando, infatti, Gian Lorenzo descrisse approfonditamente la sua idea e manifestò la volontà di far poggiare il monolite solo sulle zampe dell’elefante, fu ferocemente criticato dai domenicani ed, in particolar modo, dal Paglia. Inammissibile era ai loro occhi non porre un supporto di pietra sotto il ventre dell’animale. Nessun peso doveva poggiare sul vuoto, troppo pericoloso per la stabilità dell’opera. Bernini criticò fortemente questa posizione. In precedenza, infatti, aveva già collocato elementi pesanti su spazi vuoti (per esempio la Fontana del Tritone a piazza Barberini o la Fontana dei Fiumi a piazza Navona), ma non riuscì, stavolta, a convincere il Papa, che ordinò di apporre un supporto sotto il ventre del pachiderma. Così furono eliminati i vuoti. Sembra che il Bernini non l’abbia presa bene, vivendo la cosa come un affronto personale. Disegnò un drappo che doveva coprire quasi interamente il dorso ed arrivare fino a terra, in questo modo veniva coperto l’odiato supporto. Ma la vendetta dello scultore doveva ancora realizzarsi. E fu davvero ingegnosa! Disegnò l’elefantino con il sedere rivolto verso il convento dei domenicani e con la coda leggermente spostata……come se l’animale stesse facendo un peto in direzione del Paglia e degli altri domenicani. I disegni si tradussero in scultura nel luglio del 1667. L’opera fu realizzata, in poco più di un anno, da uno dei suoi migliori allievi, Ercole Ferrata, che non fece in tempo ad ultimarla prima della morte del committente, Alessandro VII. Il pontefice infatti era morto da 40 giorni quando l’elefantino fu inaugurato. Per la sua forma goffa e le sue forme rotonde, ben lontana dall’idea di armonia del suo ideatore, fu scherzosamente chiamata dai romani il “porcin della Minerva”, proprio perché, più che un elefante, l’animale immortalato nella pietra sembra un maiale.  Subito dopo il termine “porcin”, fu cambiato in un più dignitoso “pulcin”. In italiano, infatti, i termini che definiscono i due animali si assomigliano. Un’ultima curiosità riguarda il riferimento alla dea Minerva, la dea della Sapienza . La piazza su cui si trova il nostro elefante si credeva, erroneamente, fosse il luogo in cui alla fine del II sec d.c. era sorto un tempio dedicato alla Dea Minerva, particolarmente amata nell’antica Roma. Ecco il motivo per cui l’elefante”osceno”  disegnato dal Bernini è semplicemente il “porcin della Minerva”.

Giuseppe Rosselli

 

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