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Il Vicus Caprarius

IL VICUS CAPRARIUS – LA CITTA’ DELL’ACQUA

A poca distanza dalla splendida e celeberrima Fontana di Trevi, lontano dal caos frenetico che contraddistingue in qualsiasi momento questo incantevole monumento, troviamo un sito archeologico, ai più, sconosciuto ma che colpisce per la bellezza e per l’atmosfera, a tratti “magica”, che in esso si respira. Sto parlando del “Vicus Caprarius”- La Città dell’Acqua.

Difficile immaginare quali incredibili bellezze si celino nel sottosuolo romano, a maggior ragione se pensiamo all’attenzione che milioni di turisti riservano alla Fontana, resa immortale nella sua spettacolare imponenza, dalla “Dolce Vita” di Federico Fellino. Eppure, scendere di pochi metri rispetto al piano stradale può essere un’esperienza unica che regala momenti di grande impatto emotivo ed aiuta a capire, davvero, quanto la Città sia viva e “sia cresciuta” nel corso della sua millenaria storia. Solo addentrandoci nel mondo sotterraneo possiamo comprendere quanto sia  interessante e quanto, ciò che vediamo in superficie, altro non sia che una diretta trasposizione del mondo “di sotto”. Ho avuto la fortuna di conoscere il dott. Lorenzo dell’Aquila, direttore del sito e profondo conoscitore di storia romana, che, con l’entusiasmo tipico di chi ama il suo lavoro mi ha descritto in maniera più che esaustiva, le meraviglie del “Vicus”, facendomi scoprire ambienti che non conoscevo. Il tutto con la leggerezza ed il fascino che solo chi è straordinariamente competente sa mettere. Davvero una bella esperienza. La scoperta di questo gioiello nascosto è relativamente recente; durante i lavori di ristrutturazione dell’ex cinema Trevi, avvenuti tra il 1999 ed il 2001 e che sono stati compiuti dal Gruppo Cremonini (proprietario della sala cinematografica e dell’Hotel di lusso sovrastante), i relativi sbancamenti hanno fatto emergere dall’oblio dei secoli qualcosa di meraviglioso ed inaspettato: una cisterna romana ed alcuni ambienti di una domus di età imperiale. Notevole e di grande impatto anche per l’osservatore meno avvezzo ed attento, è la notevole cura che il Gruppo Cremonini ha messo e mette giornalmente per la salvaguardia e la tutela di quest’area. Questo infatti rappresenta uno dei pochissimi esempi nel panorama romano, e non solo, di perfetta collaborazione e sinergia tra mondo pubblico e quello privato nella gestione e valorizzazione di un sito archeologico. E bisogna dire che è un tentativo perfettamente riuscito. Il dottor dell’Aquila nel descriverci il sito è partito dalla sua sommità, sottolineando così quello che tra il IX ed il XIV secolo (quindi pieno medioevo) doveva essere il piano stradale. È stato davvero emozionante comprendere “sul campo” il fenomeno della stratificazione, perche in realtà, volgendo lo sguardo in basso ed osservando il fondo della cisterna, ci rendevamo facilmente conto di quanto, con l’età di mezzo, Roma fosse “cresciuta”. E già, rispetto all’attuale piano stradale, eravamo in profondità! Particolare il pozzo, sempre del medesimo periodo, che, utilizzato nel corso dei secoli come vera e propria pattumiera, ha aiutato moltissimo gli storici e gli archeologi a capire gli usi e le abitudini del romano del periodo medioevale. È incredibile quanto la spazzatura possa essere utile…. Scendendo poi di qualche metro, quasi 10 rispetto al piano attuale, abbiamo osservato davvero da posizione privilegiata, una delle opere ingegneristiche per le quali i romani sono stati insuperabili maestri: la cisterna (castellum aquae). Molto ben conservata, questa splendida cisterna dell’Acquedotto Vergine (costruito nel 19 a.c. durante l’impero di Ottaviano Augusto), colpisce ancora per la sua “vitalità”. Pensare che la stessa sia ancora funzionante dopo due millenni, lascia esterrefatti. Non si può negare che nell’osservare il rumoroso fluire dell’acqua si resti ammirati e quasi si perda la cognizione del tempo. Anche le dimensioni sono imponenti, a maggior ragione se si considera che sono affiorate dalle viscere della terra solo due delle tre camere che dovevano costituirla. Le due camere hanno una lunghezza complessiva vicina ai 13 metri, una larghezza che sfiora i 5 metri mentre l’altezza (almeno quella attuale, è di 4,5 metri). Ma cosa si intende per camera quando si parla di una cisterna? Essa altro non è che una vera  e propria porzione di cisterna che permetteva alla grande vasca di essere suddivisa in una pluralità di ambienti. Questa trovata architettonica non era dovuta a motivi estetici ma ingegneristici, oseremmo dire fisici. Suddividendo la cisterna in vani, si alleggeriva la pressione dell’acqua, che poteva essere davvero notevole, e allo stesso tempo, si riuscivano a costruire archi di sostegno della volta più piccoli e quindi più resistenti. Ciò che però ha colpito di più il sottoscritto di questa straordinaria opera è il famosissimo intonaco idraulico utilizzato per impermeabilizzare le sue pareti e che, ancora oggi, dopo oltre 2000 anni, continua a svolgere egregiamente la sua funzione. Impermeabilizzare la vasca significava impedire non solo la fuoriuscita di acqua ma anche e soprattutto preservare la sua purezza da eventuali contaminazioni esterne. È stupefacente come un’opera qualitativamente eccezionale regga benissimo il passare dei millenni. Abbiamo potuto osservare tutto ciò con grande attenzione, potendoci soffermare sui particolari, anche perché alcune passerelle in metallo consentono al visitatore di avere un rapporto davvero privilegiato con il sito. Adiacente alla cisterna, che comunque rappresenta il “pezzo forte del sito”, sorgono i resti di una domus romana. In realtà è visibile solo una parte, probabilmente molto limitata, di quella che doveva essere una abitazione di pregio del IV sec. La sua storia è decisamente particolare: edificata nella seconda parte del II sec. d.c., durante l’impero di Marco Aurelio, come è desumibile da un “bollo” perfettamente conservato su un gradino di una sua scala, doveva essere una casa se non modesta certamente non estremamente curata come lo sarà a partire dall’inizio del IV sec. Il tutto  testimonia una evoluzione anche sociale della zona, abitata già dall’era costantiniana da quella che oggi definiremmo “l’alta borghesia”. Ci saremmo, infatti, trovati nel cuore della Regio VII: la settima delle quattordici regiones nelle quali l’imperatore Ottaviano Augusto aveva suddiviso l’Urbe. Questa zona doveva essere nel IV sec. un vero e proprio “quartiere residenziale”, dove abitavano soprattutto funzionari statali e personaggi più o meno importanti della macchina burocratica imperiale. Tale miglioramento sociale logicamente ebbe ripercussioni anche nella cura e nelle raffinate decorazioni che iniziavano a caratterizzare le  abitazioni dell’area. È un vero peccato che la parte più importante e cospicua della domus sia ancora interrata e che sia praticamente impossibile farla venire alla luce nella sua interezza. Chissà quali sorprese si celano ancora nelle viscere della terra! Una notazione particolare che ha colpito non poco chi vi scrive è data dal già citato bollo che ha permesso la datazione della “prima” costruzione. È interessare ravvisare che la leggendaria organizzazione romana riguardava in maniera quanto mai importante anche il campo dell’edilizia; attraverso i loro bolli è possibile operare una perfetta datazione degli edifici e dei monumenti che essi costruivano. Una specie di “carta d’identità” dell’immobile! I pochi ma affascinanti oggetti che la domus ha sottratto all’oblio dei secoli ed ha donato alla vista dei posteri si trovano nel piccolo antiquarium che chiude questo meraviglioso gioiello sotterraneo. La mia attenzione è stata catturata da un gruppo di anfore che in origine contenevano olio; i cosiddetti spatheia la cui bizzarra forma affusolata ed “a punta” ha provocato in me la voglia di fare una domanda che, in maniera estremamente naturale, è stata anticipata dal direttore. Leggendo un sottile velo di curiosità nei miei occhi, il dott. dell’Aquila ha spiegato la particolare forma di queste anfore di origine africana non solo con la necessità di impilare le stesse più agevolmente ma anche per renderle più maneggevoli. Si riusciva così ad afferrarle meglio ed a versare più agevolmente l’olio. Mi ha poi confessato che questa è una delle domande che più frequentemente gli vengono rivolte mentre in poche occasioni l’ospite del sito si sofferma sul marmo policromo (molto ben conservato) che, addossato ad un parete, fa mostra di se permettendoci di comprendere appieno il lusso che doveva contraddistinguere questa abitazione. Davvero sfarzosa! A parte poi la celebre testa di Alessandro Helios, l’ultimo sovrano egizio del periodo tolemaico, vissuto nel I sec a.c., la piccola area dell’antiquarium si “chiude” con una curiosa raccolta di monete,  comprendente oltre 800 pezzi. Rinvenute in questo sito ed appartenenti a varie epoche della storia romana, ci fanno facilmente comprendere quanto questa casa sia stata vitale nel corso dei secoli. Le monete ci possono dire veramente molto di un luogo. Un’ultima curiosità inerente questi straordinari oggetti metallici provenienti dal passato remoto riguarda il valore degli stessi. Questa affascinante visita guidata mi ha insegnato che il valore attuale di una moneta romana non è dato tanto dal periodo storico cui si riferisce (come erroneamente credevo), ma per lo più da due altri fattori: il numero di monete riguardanti quel particolare periodo (quindi la rarità delle stesse) ed il luogo in cui le monete sono state forgiate (di alcune zecche soprattutto nelle zone più periferiche dell’impero se ne hanno veramente poche). Una particolareggia cartina con l’indicazione delle zecche che sul territorio dello Stato Romano producevano monete ha dominato il mio sguardo per parecchi secondi e solo la voce del direttore mi ha distolto da essa. Il motivo però era davvero interessante, infatti mi ha “invitato” a focalizzare la mia attenzione su un elemento che a molti sfugge: l’umidità del luogo. O meglio, l’umidità alta e costante che, artificialmente, viene sempre mantenuta ad un livello importante al fine di preservare e tutelare la cisterna ed il sito tutto. Ecco il motivo per cui dopo un po’ di tempo si sente caldo; non è legato solo al fatto che si è scesi di molti metri sotto il manto stradale. È l’umidità a creare questo effetto. D’altronde nella città dell’acqua cosa potevamo aspettarci! Davvero una bellissima visita……

 

Giuseppe Rosselli

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