Il Pittore Maledetto

Nel 1592, all’età di 21 anni, arriva a Roma un giovane pittore lombardo sconosciuto ai più, che sarà destinato a cambiare la storia della pittura imponendosi come uno dei più grandi artisti mai nati. Il suo nome era Michelangelo Merisi, in arte il “Caravaggio”. Caravaggio, così chiamato in quanto la famiglia era originaria dell’omonimo paese lombardo, era nato nel 1571 a Milano e da lì era partito alla volta di Roma, poco più che ventenne, probabilmente per sfuggire ad un problema giudiziario. Il primo di una lunga lista.

Il Merisi incarna infatti il più classico e lampante esempio di artista geniale e sregolato. Ebbe una vita breve, morì infatti neanche quarantenne nel 1610, piena di eventi turbolenti e, come diremmo noi, di “colpi di scena”. Visse a Roma 14 anni e dalla Città Eterna scappò, appunto, per sfuggire alla condanna a morte che la Chiesa aveva emesso nei suoi confronti per l’uccisione , nel maggio del 1606, di Ranuccio Tomassoni, ferito a morte dopo una partita di pallacorda. Non vi ritornò più. Morì, infatti, sulla spiaggia di Porto Ercole a seguito dei postumi di una ferita al volto causatagli dai sicari di un membro dei cavalieri di Malta che dal Caravaggio era stato precedentemente ferito in una rissa (l’ennesima!!). Ironia della sorte stava tornando a Roma per ottenere la grazia senza sapere che, qualche settimana prima, il pontefice aveva inviato a Napoli un messo con il condono papale per assolvere l’artista dai suoi crimini. . Visse un’esistenza fatta di contraddizioni ed eccessi, tra il lusso smodato della corte papale e delle famiglie nobili romane e sgherri, prostitute e uomini di malaffare che popolavano i vicoli della Roma del ‘600 e che in qualche modo ne causarono la sua rovina. I suoi soggetti, divenuti immortali grazie ad una fama che dopo morto travalicò non solo i confini della penisola ma anche quelli del suo secolo e dei secoli a venire, erano infatti i popolani che lo circondavano, le persone della strada, che lui tanto amava per il realismo che riuscivano a conferire alle sue opere. Caravaggio infatti fu il pittore del “reale”, colui che riusciva a mettere su tela la realtà per ciò che era; per come appariva, non una visione immaginaria, perfetta e quasi ideale volta ad avvicinare  le figure a Dio ma la descrizione cruda, diretta e veritiera di ciò che è; una realtà violenta e carica di tensione che produceva energia, quella stessa energia senza la quale, per parafrasare l’artista, “non c’è colore, non c’è forma, non c’è vita”. Riuscì come nessuno, ne prima ne dopo di lui, a produrre il sentimento del reale attraverso un uso sapiente e irripetibile della luce. Geniale e ad ampi tratti leggendaria la tecnica con cui l’artista lombardo dipingeva: collocava i soggetti al centro di una stanza immerso nella penombra e poi veniva a posizionare sapientemente lampade e candele accese nello studio. Nei quadri di Caravaggio, infatti, è la luce che domina la scena; una luce che proviene dalle figure e che contrasta in maniera evidente con lo sfondo nero, cupo, oscuro. Il tutto come se da questo contrasto, frutto anche dell’inquietudine dell’artista, il realismo della scena e delle figure trovasse la sua più evidente esaltazione. A Roma, su un totale di 50 opere dipinte dal genio lombardo, ve ne sono 20 disseminate non solo in Chiese ma anche in pinacoteche pubbliche e raccolte private. E’inutile dire che parliamo della città al mondo con il maggior numero di quadri del Merisi. Un’ultima curiosità su Caravaggio: oggi, vista la sua fama universale ed il fatto che sia considerato uno dei più grandi artisti di ogni epoca, le sue opere hanno un valore inestimabile; ebbene fu uno dei pittori meno pagati della sua epoca pur essendo già uno dei più apprezzati. Guadagnava in media 500 scudi all’anno a Roma mentre un Domenichino a Napoli  arrivava a 2.000.   

 

Giuseppe Rosselli

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